Tempo fa Giuseppe Vidigulfi detto Pep viveva a Ottobiano, un tranquillo paese della Lomelllina, una terra totalmente pianeggiante immersa nella nebbia per sei mesi all’anno e poi risaie, zanzare e rane e ogni tanto la vista sul Monte Rosa. Per il Monte Rosa ci voleva un po’ di vento, il vento c’era poche volte e quando c’era il Rosa sembrava il Kilimangiaro. Alto, imponente e con la neve. Sembrava nascere dal fondo della pianura all’improvviso, senza nemmeno una collina ad annunciarlo; poi il vento cessava e il Monte Rosa non c’era più, si sapeva che esisteva, ma non c’era. Il Pep girava in bici, quasi sempre da solo, pedalava con tranquillità, spesso al tramonto, verso il sole, lungo gli argini dell’Agogna e del Sesia e un giorno di maggio pensò che fosse bello partire e andare via per un po’ di tempo. Era curioso di sapere da dove venivano tutte quelle donne che per più di un mese ogni anno arrivavano in massa cantando e lavorando in risaia. Sembravano triste e allegre nello stesso tempo. Avevano un accento strano, un po’ lombardo un po’ emiliano. Era curioso. Chiese alle mondine da dove venissero e dove abitassero, loro ridevano cantavano, ma non rispondevano. Pep chiese ancora e finalmente una di loro rispose e gli sembrò dicesse: “Ah sola”. Il Pep scese dalla bici non era sicuro di aver sentito bene perché le altre intanto cantavano forte. La mondina Jolanda detta Jole disse Asola, ma Pep comprese ah sola, quasi fosse un sospiro, un lamento di solitudine. Il Pep era esperto di solitudini e questa riposta lo colpì molto, volle sapere altri dettagli e chiese, chiese ancora. Jole scoppiò a ridere e disse che era come un gioco e che doveva trovar nel suo chiedere la risposta. Doveva risolvere l’enigma. E poi, scappando dalle altre mondine affermò: “Dai Pep lo sai benissimo che chi domanda molto ha già le soluzioni, deve solo cercare bene dentro di sé o nelle parole o nelle acque di un fiume che poi è lo stesso”. E poi beffarda aggiunse: “tu che hai la bicicletta vuol dire che l’hai voluta e allora pedala pedala e vedrai che arriverai”. Il Pep non chiuse occhio pedalò tutta notte fece il giro della Lomellina, ma non riuscì a risolvere l’enigma della Jole. E si chiedeva che cosa poteva trovare nel suo domandare o addirittura nelle acque di un fiume. Al mattino sempre più sconsolato andò a trovare un uomo che tutti ormai da più di trant’anni chiamavano il mago di Mortara, un vecchio scappato da Venezia di nome Alvise Chinellato che giunse in Lomellina per sfuggire alla rappresaglia di un gruppo di pescatori di Pellestrina che gli avevano giurato vendetta per antiche profezie non esaudite o più probabilmente per furti di quadri mai distribuiti. Eppur si narra che Alvise risolvesse ogni enigma e facesse sortilegi su misura. Il Pep busso alla bottega del mago con due fiaschi di vino rosso e gli raccontò il suo dubbio. Alvise ascoltò, chiuse gli occhi e pescò dal fondo di un gran baule un libro che si intitolava così: Le grandi domande sui fiumi lombardi. Il Pep si accorse sfogliandolo che si trattava di un vecchio libro di geografia ma chiese ad Alvise di spiegargli in che modo potesse servirgli. Alvise prese uno dei due fiaschi di vino rosso versò il vino e disse al Pep che questo era tutto quel che poteva fare e che si trattava di leggerlo di capire se fra le righe fra le pagine emergesse la soluzione dell’enigma. Il Pep ascoltò, ringraziò, brindò nuovamente con Alvise, lo salutò e lentamente risalì in bicicletta per tornare con calma verso casa. Lungo la strada si fermò a leggere il libro seduto all’ombra di un grande platano. Il libro parlava di tutti i fiumi della Lombardia e curiosamente, forse per invogliare bambine e bambini alla lettura, giocava con nomi dei fiumi quasi avessero un carattere, quasi fossero persone. Leggeva del Po il più grande di tutti i fiumi che senza accento voleva forse mettere proprio l’accento sul fatto che fosse ben di più di un misero po’. Poi c’era un intero capitolo dedicato all’Adda che si può leggere anche al contrario che il risultato sonoro non cambia e che in origine pare si chiamasse Anna, ma che per sbaglio l’impiegato dell’anagrafe di Bormio, un po’ distratto, la registrò come Adda. Si leggeva poi del Serio singolare fiume capace di contenere fra le sue acque il suo opposto ovvero il Riso, piccolo corso d’acqua della bergamasca e del fatto che anticamente pare si chiamasse Sé Rio, ma per una fissazione grammaticale che spinge la perdita dell’accento innanzi a se stessi ecco che da Rio autocelebrante il corso d’acqua si è fatto riservato e compatto e Serio appunto. Fin troppo serio e timido infatti prima della dolce Crema scava cunicoli sotterranei e del tutto non si mostra. Ci fu poi un piccolo paragrafo dedicato al fiume dal corso interrogativo che dall’Adamello scorre giù fino all’Oglio. Il Pep leggeva stanco e sfiduciato e complice la lunga pedalata stava per addormentarsi all’ombra del platano quando quasi nel dormiveglia venne colto da sussulto. Si leggeva che fosse un fiume domandante e per giunta al tempo passato e il libro domandava quale fosse l’arguta bambina o l’intuitivo bambino che sapesse il suo nome che sul finir dell’esistenza scorre proprio nei dintorni di Asola. Pep escalmò: “Ah sola non era solitudine”, ma la meta di una nuova pedalata. Ad Asola, nel cuor della pianura, si doveva andare per ritrovar la Jole. Era il fiume Chiese la soluzione dell’enigma e il suo chiedere insistente lo annunciava e ora il Pep si preparava a pedalare non più in Lomellina, ma lontano verso nuovi soli e nuovi argini e dintorni, quelli di Asola.
Questo, insieme alla purtroppo desaparecida “Maria Cristina”, è il racconto che ho più apprezzato sin dall’era *incipit*. Leggero ed aggraziato, diverte e rallegra, e questo è buono assai
Alcune considerazioni. Diversi refusi, typo, di concordanza, qualche tempo verbale che non mi convince, ad esempio “che giunse”, quando parli del mago: egli è partecipante alla storia, vivente (e soprattutto bevente):avrei scritto, descrittivamente, “ch’era giunto”. Lo stile non è uniforme. Adoperi a volte il periodare sincopato, senza virgole, un continuum narrativo che a me piace molto. Ma è un utilizzo sporadico, isolato, non uniforme. Lo estenderei o, in alternativa, metterei pause dove ora non ci sono. Ma cosucce, up to you se metterci le mani o meno.
Mentre trovo indispensabile costruire meglio la scena ed i personaggi, un po’ come hai fatto col Monte Rosa. Pep pedala lungo degli argini: vogliamo orlarli, dare un colore, un suono, una forza alle acque che ivi scorrono, un tasso di umidità alla zona? E Pep, come lo riconosco? Certo, è un solitario e questo è ciò che conta, ma è uno sbandato ubriacone, la giacca della tuta medagliata da macchie vinose frutto di plurime soste solitarie nelle osterie della Bassa, i capelli (radi?) lunghi ed untuosi, la catena della bici cigolante? O è un semplice d’animo, ma spendibile sul mercato dell’amore? E la Jole, è appetibile come nell’immaginario mondiniano ha stabilito “Riso amaro”? La sua pelle è ambrata dal lavoro che fa? Nei suoi occhi (neri ed intensi, passionali o verdi e brillanti, ridanciani) leggiamo una possibile solitudine (e questo ha indotto all’errore Pep) a cui Pep potrebbe portar rimedio o è solo più sfacciata delle altre e vuol solo farle ridere, fingendo di civettare con chi, col vecchio sbandato ed inabile o col giovanotto dal cuore semplice e dall’animo candido di cui non puoi non innamorarti? Pep la impalmerà, una volta giunto ad Asola? (no, non me lo devi dire, ma devi darmi la possibilità di pensarlo tale evento, o anche la sua negazione). Insomma, con due tratti di descrizione dei personaggi, tutti presentati per nome ma *troppo* evanescenti, arricchiresti di molto la scena e la vicenda. Vicenda che ha un suo punto debole nella proposta dell’enigma, che non risulta ben chiaro, mi pare. Infine, se sei di quelle zone e ne maneggi l’idioma, alcune parti dello scambio di battute le farei proferire in dialetto (tradotto, se incomprensibile al lettore medio foresto). Darebbe vivacità e spessore al dialogo, mi pare (e a me piace un sacco, lo confesso).
Tutto qui. Ciò che rimane, che tu voglia accogliere o meno i confusi suggerimenti che ti propongo, rimane il fatto che il tuo racconto è fresco e brillante e mi ha fatto passare cinque minuti in letizia, cosa di cui ti ringrazio.
Carissimo Gilberto grazie del tempo che hai dedicato alla lettura e soprattutto grazie per i suggerimenti che mi paiiono davvero preziosi. metterò mano anche alla lucedi quanto hanno scritto Dario, Maddalena e Sofia. Perdona la latitanza ma è stato un periodo impegnativo a causa della perdita del suocero a cui eravamo davvero sinceramente tutti molto legati. terrò presente i tuoi suggeriment anche oltre Asola. un abbraccio
Sono qua abusivamente! Ma il tuo racconto mi piaceva tantissimo. Sono qua per dirti che secondo me gilberto ti ha dato dei buoni consigli e per centrarli al meglio ti suggerisco non solo di rivedere delle parti, ma di levare alcune cose che possono essere tolte. Possono essere avverbi ( totalmente ad esempio può essere del tutto) o verbi generici che o non servono o possono essere sostituiti con qualcosa di più caratterizzante. All’inizio ad esempio metti tantissimi c’era, un paio di quelli ad esempio possono sparire senza minimamente danneggiare il senso. Oppure puoi usare facilmente dei sinonimi ecco un esempio: “il vento c’era poche volte e quando c’era ” può diventare “il vento c’era poche volte e quando arrivava”. Scusate l’incursione….
Grazie Monica di questi suggerimenti. Concordo con quel che dici in merito ai consigli di Gilberto. questa sera scriverò la versione definitiva anche tenedo conto di quel che hanno suggerito ulteriromente Dario e Maddalena. un caro saluto Pier