Lea aveva passato il periodo della Sospensione a casa dei suoi, al lago, concedendosi come sfogo qualche peregrinazione nel parco chiuso al pubblico, quando era stanca di osservare le planate dei cigni e delle folaghe sullo specchio azzurro e piatto dell’acqua, i tentativi di rissa dei gabbiani con le anatre, le passeggiate di una coppia di oche stordite, in fuga da una villa nei dintorni. La Polvere era arrivata in tutta la zona, ma senza fare grandi danni. Nessuno nel vicinato ne era stato afflitto in modo serio. Benché la circolazione fosse proibita lì come dappertutto, i divieti venivano interpretati con larghezza dagli abitanti, che per muoversi avevano a disposizione i prati e le rive, ignorate dai controlli che si concentravano sulle strade provinciali. Non era solo la noia che spingeva Lea ad attraversare la provinciale, prendere la salita per il parco e scavalcare le alte porte di ferro, serrate da catene legate da grandi lucchetti che ne sigillavano l’accesso, ma un impulso a cui obbediva. Le prime volte si stupì della facilità con cui riusciva a farlo. Nonostante la quasi totale assenza di appigli, posando un piede sulla sporgenza del lucchetto e l’altro su un sasso a mezz’altezza che sporgeva da una roccia, alla sinistra della porta, aveva sufficiente equilibrio per saltare ed aggrapparsi con le mani al lato più alto e sufficiente forza per raccogliersi e saltare. Una volta dentro, circondata dalla soffice muraglia delle piante, si sentiva immediatamente bene. Quando guardava in alto vedeva tra le cime degli alberi farsi spazio il cielo che curiosamente le sembrava più grande e profondo di quanto le apparisse dal lago, in una prospettiva libera da ostacoli. Lì svaniva la sensazione di soffocamento che l’accompagnava durante la giornata. Mentre camminava tra le felci riusciva a sorridere del destino che le era toccato. Lei, che se n’era andata di casa a diciotto anni, resistendo alle proteste e alle suppliche della madre, era stata costretta a riprendere la convivenza quasi per caso, dopo una delle sue rare visite in famiglia, presto trasformata in un ritorno a casa di durata indefinita. Per una volta aveva ceduto all’impulso di rivedere la madre, la sorella e la nipote, e l’aveva pagato, perché da allora non aveva più potuto tornare in città. Con perfetto tempismo il destino si era nascosto nelle prescrizioni di difesa dalla Polvere come una lepre nell’erba dei prati, ormai lunga fino alle ginocchia. Così per un mese Lea aveva dormito nella sua vecchia stanza, passato il tempo a leggere, a ciondolare da un sito all’altro, ad aiutare la madre e a giocare con la nipotina, di nuovo invasa da quella sensazione di controllo e tutela continua da cui era fuggita quattro anni prima. Anche l’ultima discussione era nata da una critica materna.
«Lea, non uscire così, non è furbo. Tutti ti notano, ti possono seguire e denunciare».
«Denunciare? La Sospensione è finita, non lo sai? Io mi vesto come tutte quelle della mia età».
«Non parlo di come ti vesti, lasciamo perdere. È finita ma il parco è ancora chiuso, non si può entrare in quel bosco, è un reato. Non è mai stato pulito dalla Polvere. E poi qui ce n’è poche di ragazze della tua età».
«E io che posso farci? Non ho niente di strano, non porto anelli al naso, non mi sono fatta radere le sopracciglia, non ho tatuaggi in faccia. Più pulita di così».
«Ma almeno se proprio dovevi tingerti i capelli potevi usare un colore solo! Invece metà viola e metà azzurri!
«Non sono l’unica».
«Vai a fare una cosa proibita con i capelli bicolori!».
«E allora?» Come sempre, appena si stancava delle obiezioni di sua madre Lea alzava la voce.
«Allora non andarci! Ti vedranno tutti!».
«Tu sei matta, io vado dove voglio».
Ignorando le urla e le profferte della nipotina (zia, aspettami, vengo con te!) si era voltata ed era uscita, sbattendo la porta. Ed ora, nel bosco, quella discussione le sembrava talmente pretestuosa che si chiedeva se non se la fosse sognata, e se le parole pronunciate, come nei sogni, non nascondessero altri, ignoti significati a chiave. Camminando e borbottando tra sé si avvicinò alla zona umida. Saltava i rivoli fangosi che incontrava all’inizio della torbiera, e ogni tanto ci si bagnava le scarpe: i suoi vecchi anfibi erano scollati, se lo scordava sempre. Si sedette su un sasso e ne tolse uno per controllare lo stato delle calze. Fece lo stesso con l’altra scarpa. Si sfilò le calze umide e le stese su un altro sasso ad asciugare. Poi alzò la testa e il suo urlo risuonò per la torbiera deserta.
«Chi sei?» gridò, disperata, scattando in piedi, pronta a scappare.
«Su, Lea, lo sai chi sono» rispose piano l’uomo che la guardava dalla sponda opposta della roggia che li divideva. La voce era familiare. Lea non si mosse.
«Chi sei» ripetè, abbassando il tono.
«In effetti non potrei essere qui, hai ragione. Strano, a dir poco».
«Non puoi essere tu».
«No, lo sappiamo tutti e due, io sono morto, fin troppo. È vero. Per questo non mi sono fatto vivo prima».
«Solo tu ti permettevi battute così orrende…» sussurrò Lea, allibita.
«È una mia specialità» ammise l’uomo, con un sorriso. «Il mio passaporto. Sono tuo padre, Lea, chi altro posso essere?».
Lea guardò l’erba, come parlando tra sé.
«Devo essere impazzita. Parlo con te che non ci sei. Mi invento le tue risposte. Passo troppo tempo·qui da sola» si lamentò. Emise un pesante sospiro.
«Questo è vero» confermò l’uomo. Senza sforzo, con un salto di due metri superò l’acqua e atterrò di fronte a lei. Si osservarono da vicino.
«Papà?» disse Lea con una smorfia, nello sforzo di credere all’impossibile.
«Ecco, mi riconosci. È bello, senza tante spiegazioni. Mi dai grandi soddisfazioni, come sempre» concesse l’uomo. Era alto, vestito di nero. L’apparizione del padre fu ai suoi occhi più importante della circostanza che si trattava di una palese assurdità e di un anacronismo. Lo abbracciò senza pensare.
«Come sei magro» disse poi.
«Siamo noi che ingrassiamo i vermi, non il contrario. Siamo noi il loro formaggio» notò il padre.
Lea si rabbuiò all’istante.
«Smettila di scherzare».
«Ho detto la verità».
«Dove sei stato?».
«Sottoterra. Almeno, così fanno con quelli come me, di solito».
«Non prendermi per il culo».
«Non ho bisogno di giustificarmi» rispose il padre, con calma. «Mi hai visto, quel giorno».
La ragazza annuì.
«Ti ho visto, sì. Ma ora sei qui in carne ed ossa, si vede che hai preso il sole. Mi racconti un sacco di storie» protesto lei, più debolmente.
Il padre di Lea scosse la testa.
«Volevo fare bella figura. Carne ed ossa sono trucchi da stregone per rendermi presentabile. E tu hai preso da me».
«Sì, come no, la strega e lo stregone».
«Ora sei tu a prendermi per il culo. Per te è facile vederci. Tocca a te riconoscerla come una tua specialità».
«E se anche fosse vero? Perché non mi hai mai cercata prima? A maggior ragione!».
La ragazza si alzò di scatto, infuriata. Una scheggia di selce le si conficcò nell’alluce destro. Prese a saltellare imprecando dal dolore. L’uomo in nero allungò un braccio e stese la mano verso il piede ferito senza toccarlo. Lea si fermò, sbigottita.
«Passato?».
«Sì, subito» ammise lei.
«Meglio asciugare questi calzini, così possiamo fare due passi» propose il padre. Si alzò dal sasso dove era seduto e toccò le calze, poi le lanciò alla figlia.
«Ecco fatto. Puoi rimetterle».
«Come?» chiese Lea, afferrandole.
«Il sole ha i suoi tempi, noi abbiamo i nostri».
Lea si sedette e le infilò, poi calzò gli anfibi e raggiunse l’uomo, che si era incamminato lungo la sponda del lagone.
«Insomma, papà, aspettami, spiegami! Ti credo!».
«Perché?» chiese lui, senza rallentare. «Perché ti è passato il male? Diciamo che potevi fidarti sulla parola, invece ci sono voluti due trucchetti da buffone, ma non importa».
Lea sorrise.
«Sei sempre stato permaloso ed esigente. Grazie di avermi asciugato le calze, papà».
L’uomo si fermò.
«Di nulla, Lea».
«È vero quello che dici, quello che riesco a vedere, ogni tanto. Gente di cui non m’importa nulla. Però, te, non ti ho mai visto da allora. Mai una volta. Perché?».
L’uomo guardò la figlia. La sua tristezza sembrava senza rimedio.
«Non ne so nulla» disse. «Ero andato, non c’ero più. Poi mi hanno fatto tornare, e questa al momento è casa mia. Almeno siamo vicini. Sembra che io sia legato all’acqua per qualche motivo. È tutto molto confuso. Nemmeno io so cosa sta succedendo, sopra e sotto, una grande rivoluzione, sembra».
Lea capì allora che l’impulso era una chiamata, che sua madre lo sapeva. Gli alberi le apparvero più alti che mai, come li vedeva da bambina, quando giocava a smascherare il sole che correva tra le foglie.
2° RIGA
Il termine PEREGRINAZIONE “Serie di spostamenti lunghi e travagliati, senza una meta precisa, attraverso regioni o paesi diversi.” Potrebbe essere efficacemente sostituito da SVAGO “Temporaneo allontanamento da una consuetudine operosa, a scopo di distensione o Quanto costituisce un passatempo o un divertimento.”
8° RIGA
L’aggettivo qualificativo PROVINCIALI potrebbe essere superfluo sulle strade e viene ripetuto come sostantivo nel paragrafo successivo..
44° RIGA
Essendo la nipotina una bimba sostituirei il termine PROOFFERTE “Proposta, offerta: udita la domanda e la profferta della sua donna (Boccaccio); ha respinto le mie p. d’amore” con RICHIESTA “Domanda, per lo più motivata da una prassi o da una necessità: “
47° RIGA
Toglierei A CHIAVE non suona bene e non aggiunge nulla
53 ° RIGA
Sostituirei DISPERATA “ cioè senza più speranze, delusa, desolata , inconsolabile e senza conforto” con SPAVENTATA che mi pare più adatto vista la presenza inaspettata dell’uomo
56° RIGA
Errore di battitura ripeté
61° RIGA
Taglierei ALLIBITA “Impallidito per la paura o per la sorpresa, sbigottito, attonito, esterrefatto.” non è necessario e mi sembra inadeguato alla situazione
62° RIGA
Taglierei tutta la seconda parte del periodo perché parlare di un passaporto ? recupererei i contenuti più avanti
66°/67° RIGA
Taglierei SI LAMENTO’ Lea non sembra essere una lamentosa, e mi limiterei a scrivere SOSPIRO’ il fatto che il sospiro sia pesante non mi sembra giustificato
72° RIGA
Invece di CONCESSE “ ammise, riconobbe come vero” inserirei DISSE DOLCEMENTE L’UOMO che mi sembra più descrittivo dell’atmosfera
72° / 73° / 74° RIGA
Toglierei tutto, non mi sembra aggiunga nulla alla narrazione , così facendo resterebbero fortemente collegati “lei lo abbracciò senza pensare e “come sei magro”.
76 ° RIGA
Invece di NOTO’ IL PADRE metterei “Sussurrò con un sorrisino il padre” che potrebbe ricordarci la sua specialità delle battute orribili .
81 ° RIGA
Al posto di DI SOLITO scriverei “lo hai visto quel giorno” riprenderebbe meglio il tema facendo riferimento al giorno della tumulazione.
85° RIGA
aggiungere PAPA’ renderebbe più affettuoso e mi farebbe pensare che il babbo raccontasse spesso “storie” (soprattutto orribili)
101° RIGA
Il COME da solo potrebbe anche riferirsi al come metterle se COME HAI FATTO…certamente all’averle asciugate in fretta.
116 ° RIGA
Sposterei ALMENO SIAMO VICINI alla fine del paragrafo dandogli maggior valore
119°/120/° 121 ° RIGHE
Modificherei il finale
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